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Suor Rita Estasi
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Suor Rita dello Spirito Santo


 

“Per Gesù tutto è poco!”


 

A Suor Rita

Cara “Bambina”,

Non ti ho mai incontrata nel tempo; non ti ho conosciuta a Santa Croce sull’Arno pur vivendo da giovane in una cittadina vicina. Ma chi ti ha conosciuta, mi ha parlato tanto di te rendendomi a te familiare dall’infanzia, in Cercola, fino al compimento della vita, religiosa agostiniana, in Santa Croce: come se ti avessi conosciuta da sempre.

Non ripercorro i vari momenti della tua infanzia, che pure sono immagine della meta; gli eventi che la caratterizzano, infatti, sorprendono e ti fanno amare fin da quegli inizi che sono forieri dell’infanzia impossibile, come ritorno della tua vita religiosa alla sua Fonte. Tutta la tua esistenza per l’incantevole innocenza e semplicità ci coinvolge a chiamarti “Bambina”. Non “figlia della lupa”, come voleva il costume del tempo, e sempre con Gesù e la “Mamma Bella” per crescere dolce, umile, graziosa e piena di “Mistero” accogliente, seguendo l’invito di un religioso d’eccezione: “Cristina, rimani sempre bambina” .

Sei stata fortunata; hai avuto sempre vicino a te un precettore di eccellenza: P.Pio da Pietrelcina. Con lui sei entrata in comunione stigmatizzata con Cristo, che ti ha fatto sua sposa con nozze dai richiami  paradisiaci vivendo intensamente il cammino di croce. Con Cristo hai condiviso la “sofferenza vicaria” come specifica missione della tua vita a liberazione dall’inferno dell’umanità. E’ stata una missione continua e laboriosa nello svolgersi della vita: ora esplicita, ora silenziosa, ora solo offerta di vita sacrificata e orante per raccoglierci tutti nell’amore di Cristo. Era iniziata questa missione nel lontano 14 settembre 1935, quando Gesù ti chiese: “Cristina,vuoi sentire le sofferenze delle mie piaghe?” E tu rispondesti: “Sì, Gesù mio”.

Questo mistero di comunione l’hai condiviso con noi attraverso  richiami confidenziali umilissimi e di annientamento della tua personalità, bisbigliandoli al nostro cuore: “Non vi è altro da fare quaggiù che amare Gesù e soffrire per le anime perché Gesù sia amato”. E ancora: “Per Gesù tutto è poco”.

Ma la missione, cara Bambina, non è terminata nell’ultimo giorno della tua vita, il 26 novembre 1992.

Oggi continua la passione di Cristo; e la tua presenza a noi non può venir meno senza nostra responsabilità all’indifferenza. A chi ti ha conosciuta e a quanti desideriamo far conoscere la tua tenerezza interiore di sguardo-di cuore-di preghiera per le nostre speranze, mantieni la promessa: “Farò molto di più quando sarò morta”.

Padre Lolli Vincenzo


1

Nascita, Vocazione e Missione.

Oh!, sì, lavorare senza guardare ai frutti, ma solo per amore, solo l’amore può convertire le anime!

Che Gesù mi tenga sempre stretta, stretta alla sua Croce! Il solo soffrire attira il mio cuore! Che bellezza soffrire! Oh, ma cosa sarebbe mai la vita senza la sofferenza? Un solo istante per me senza di essa lo crederei perduto!

C

 

ristina Montella, poi suor Rita dello Spirito Santo, nacque a Cercola, provincia di Napoli, da Luigi e da Francesca D’Avanzo, il 3 aprile 1920. Era sabato santo. Fu battezzata il giorno 8 aprile, primo giovedì dopo Pasqua. Già da piccolina mostrò quelle caratteristiche interiori che la contraddistinsero per tutta la vita: umiltà, innocenza, semplicità, preghiera continua, desiderio di annullarsi in Dio, ricerca della sofferenza per amore di Gesù e delle Anime.

Sia le date su citate, sia la casa dove nacque Cristina, presentano alcune caratteristiche che, se lette secondo una appropriata simbologia cristiana, richiamano, dall’inizio e profeticamente, il suo percorso di radicale assimiliazione a Gesù Salvatore.

Gesù nacque a Betlemme, “città del Pane”, e fu immediatamente deposto in una “mangiatoia”. Quando sulla Croce, nell’atto finale della sua consegna al Padre, manifestò il suo “Sitio” avendo tutto consumato, chiedeva il Suo “Gradimento” per il suo “Essersi fatto “Pane per tutti”. Preparato alla “Missione” con la deposizione nella mangiatoia, la concludeva nella Realtà Crocifissa della sua completa donazione.

Così suor Rita, preparata dalla cottura del forno per il pane, situato sotto la sua casetta natale, concluse la sua “missione di farsi dono per tutti”, nella consumazione piena e totale di ogni sua stilla di sangue nella sofferenza cercata ed accolta per amore di Dio e delle Anime.

I primi tenerissimi anni di vita Cristina li trascorse presso la zia Carolina Manna che le fu maestra di ricamo e di cucito. Fattasi un poco più grandicella tornò a vivere stabilmente con i genitori, che la educarono secondo i sani principi cristiani.

La giornata non iniziava senza un pensiero al Signore per adorarlo e ringraziarlo. Ogni mattina si recava in chiesa con la mamma per attingere ogni grazia da Gesù, nascosto ma vivo nel Tabernacolo. Dal momento in cui ricevette la Prima Comunione, nel 1926 o 1927, non fece trascorrere giorno senza cibarsi del “Corpo” di Gesù. Ogni sera poi, la piccola e povera casetta in cui abitava, risuonava delle “Ave Maria” del Santo Rosario, preghiera che divenne, anche per lei, l’arma della vittoria contro il “maligno”.

Dopo aver ricevuto la Santa Cresima nella Parrocchia Immacolata e Sant’Antonio il 21 giugno 1931 dall’Eccellentissimo Monsignor Giuseppe D’Alessio, si impegnò attivamente in Parrocchia.

Oltre che nella Chiesa della Immacolata e Sant’Antonio di Cercola, Cristina era solita appartarsi in una cappella dedicata alla Madonna delle Grazie, che si trovava nel Palazzo De Campora, dove abitò con i genitori fino al 1936. Cercava, in quel santo luogo, gli angoli più nascosti per entrare in perfetta unione con Gesù e Maria. Erano stati proprio loro ad indicarle il modo, il tempo e il luogo dove consegnarsi al loro cuore. E furono proprio loro che, dalla più tenera età, plasmarono la sua anima ad una vita di rinuncia e di sacrifici. Le aprirono il suo piccolo cuore al desiderio di divenire “Vittima” per amore di Gesù e per la salvezza delle anime. Cristina comprese, di conseguenza, che il posto più adatto per questa totale immersione nel “Mistero d’Amore di Gesù” era la clausura.

Il luogo dove Cristina ebbe più chiaramente la certezza di consacrarsi al Signore come claustrale fu il Santuario della Madonna dell’Arco, dove è presente una bellissimna Icona di Maria con il Bambino Gesù. Esso, perciò, fu il luogo privilegiato della prima fase dell’esperienza spirituale di Cristina.

Il Santuario, ancora oggi, è un faro di fede e di speranza per tutta la zona e per ogni circostanza. Ma è il “tempo pasquale” il periodo più intenso e favorevole per testimonianze di fede e di amore. Vengono organizzati numerosi pellegrinaggi e manifestazioni di genuino sapore popolano. Tra i tanti fedeli, vincolati da uno specifico voto verso Maria, spiccano i cosiddetti “fuienti”. Sciamano a gruppi numerosi da ogni parte della regione con stendardi e carri allegorici raffiguranti miracoli della Madonna. Procedendo scalzi, il lunedì in Albis si prostrano davanti all’immagine della Madonna dell’Arco, manifestando sentimenti di sottomissione, fedeltà e amore filiale.

Come tutte le fanciulle del tempo Cristina fu iscritta alla Scuola Elementare. La sua esperienza scolastica, però, risultò abbastanza amara, perché interrotta durante il corso della quinta classe per un discutibile motivo di carattere politico. Il papà era antifascista perciò contrario a tutte le iniziative che il regime prendeva per plagiare anche le anime dei fanciulli. E la scuola, allora, era la fucina privilegiata di indottrinamenti di parte.

Lasciata la scuola si dedicò alle faccende domestiche, mettendo anche a frutto quello che aveva imparato da piccola presso la zia Carolina Manna. Si impegnò attivamente anche in Parrocchia sia nei servizi più umili, come quello delle pulizie, sia per i più impegnativi: quelli che riguardavano la preparazione dei bambini alla Prima Comunione. Più grandicella, poi, divenne dirigente delle giovani di Azione Cattolica.

Verso i quindici anni, già consapevole della “strada da percorrere”, iniziò a confidarsi con i genitori riguardo la sua scelta. Il papà, purtroppo, le si oppose con tutta la sua autorità. Per non contristare eccessivamente la figlia, egli avrebbe accettato anche di vederla Suora Figlia di S. Anna, in virtù della presenza a Cercola di un Istituto di quella Congregazione Religiosa. Cristina, invece, era certa che il Signore la chiamava ad una vita di penitenza, di preghiera e di assoluto nascondimento di sé. Non si oppose al papà, ma nemmeno accettò di consacrarsi in un modo diverso da quello che Gesù aveva scelto per lei. Si abbandonò al Signore certa che solo Lui poteva risolvere quella situazione. E così fu.

Il 5 gennaio del 1940 il papà Luigi ebbe un attacco di “angina pectoris”, che sembrò superare quasi subito. Ma la sera del 10 gennaio, coricatosi sul letto, all’improvviso gli riprese il malore. Riuscì a mala pena ad invocare la Madonna del Carmine, di cui era particolarmente devoto, e a chiamare la figlia Cristina, che accorse subito al capezzale e lo vide spirare dopo un minuto. Immediatamente Cristina si rivolse al suo Gesù chiedendo di “patire” al posto del papà per ottenere la sua liberazione dal Purgatorio. Dopo sette giorni di preghiere e di sofferenze estreme, Gesù le concesse di liberare il papà e di condurlo in Paradiso. La sofferenza cercata, accolta e offerta per amore di Gesù e delle anime era da tempo divenuta parte costitutiva del suo spirito. La sua persona era veramente divenuta un tutt’uno con essa. In tal modo, divenendo espiatrice vicaria, era stata resa capace di “completare nella sua carne ciò che manca ai patimenti di Cristo per la sua Chiesa”. (Col. 1, 24)

Con la morte del papà, Cristina poté orientarsi decisamente a portare a compimento la volontà di Dio su di lei. Con la guida del Parroco Pandolfo e la direzione di un Francescano, Padre Eletto Santini di Fucecchio (FI), venne fatta la scelta del monastero agostiniano di Santa Cristiana in Santa Croce sull’Arno (PI). Ed era proprio lì che Gesù l’attendeva per condurla alla piena immolazione in una missione di riparazione. Egli non le nascose su quale “calvario” doveva salire, anzi glielo pose davanti in tutta la sua crudezza, dipingendole a fosche tinte la vita che l’attendeva, nonché le ragioni di tanta sofferenza. Pur intimorita per tanta crudezza, Cristina pronunciò il suo “fiat” per dare Gloria a quel Signore che la voleva tutta per sé su quel segreto, silenzioso e nascosto Altare.

Il 9 agosto di quello stesso anno, compiute tutte le pratiche burocratiche, partì dal suo paese natio per quel luogo lontano. Nel viaggio di trasferimento alla sua nuova patria, Cristina non fu sola. Fu accompagnata dal suo Angelo custode, che le era sempre visibile, e da un Adolescente, suo compagno di giochi nel giardino di Villa De Campora, pur esso invisibile agli occhi umani.

Arrivò a Santa Croce il giorno 10 e si presentò al portone del convento nel primo pomeriggio. Fino alle 14 del giorno successivo rimase nell’ambiente della foresteria. Poi entrò in clausura, non per scappare dal mondo, ma per immergersi in maniera diversa nelle sue contraddizioni. Solo così e nella maniera più feconda, “nel silenzio e nel nascondimento”, poteva compiere la parte che il Signore le aveva affidato nel “Grande Negozio della Salvezza”.

La prima sorpresa si presentò agli occhi di Cristina proprio il giorno dopo il suo ingresso al convento. Tale sorpresa, che si legava in maniera sorprendente al suo passato, confermava, alla sua meravigliosa innocenza, la verità delle sue precedenti esperienze soprannaturali. Queste non l’abbandonarono con il suo ingresso nella vita claustrale; al contrario si affinarono, collegandosi a quelle trascorse, in un crescendo che la porterà a vette straordinarie, ma sempre relazionate alla missione che il Signore le aveva assegnato.

Alle 6 del mattino del 12, dunque, Cristina si portò alla “Cappella o coretto del noviziato” per pregare in quel luogo riservato alle probande e alle novizie. Entrata rimase subito impressionata dalla singolarità d’un quadro di Gesù Bambino rappresentato in piedi con le braccine aperte e con davanti una croce, un calice e dei chiodi. L’aspetto più sorprendente era il riscontro di perfetta somiglianza nei tratti con quell’ Adolescente che normalmente le appariva dagli anni di infanzia e che, invisibilmente, la aveva accompagnata in quel viaggio. Da questa prima sorpresa emergeva evidente la conferma che Gesù dall’inizio l’attendeva in quel mistico Calvario con gli strumenti della Passione già pronti: La Croce! Il Calice! I Chiodi!

Fu con questa rassicurante conferma che iniziò il suo periodo di probandato.

Nonostante la sua salute non manifestasse segnali di grande solidità, le furono assegnati i lavori più pesanti, a cui lei si sottopose docilmente e con gioia.

Alla fine di marzo del 1941 si doveva procedere ad un adempimento giuridico: stabilire cioè se Cristina veniva ammessa al noviziato come “corale” o come “conversa”.

Siccome non ci fu unanimità nella scelta, la Badessa del tempo, suor Eleonora Pieroni, pensò di trasferirla in un altro monastero agostiniano: quello di Radicondoli in provincia di Siena.

Per ubbidienza Cristina partì, accompagnata dalla tuttofare del monastero, signora Annita Maria Isola, ma non vi entrò perché affermava che quello “Non era il monastero che le aveva fatto vedere Gesù”.

Liberata dall’obbedienza, ritornò a Santa Croce e, dopo essere stata riammessa, dovette fare un altro anno di probandato, in quanto quello già fatto, veniva giuridicamente azzerato.

Passò quindi un altro anno, anch’esso vissuto nell’obbedienza più completa e nella docilità più piena. Ebbe ricadute di alcune malattie, che poi risulteranno scientificamente impossibili a catalogarsi. Alla fine, però, fu ammessa all’anno di noviziato come conversa, e le fu assegnato un nome nuovo: Suor Rita dello Spirito Santo. Fu stabilita anche la data della vestizione religiosa: il 27 aprile del 1942. La cerimonia fu celebrata secondo il rituale dell’Ordine Agostiniano, in corso in quell’epoca.

Tale cerimonia, che sancisce, nel simbolo e nei gesti, una speciale “Unione” con il Signore, fu preceduta, nella notte, dalla “concretezza” dello “Sposalizio Mistico” tra Gesù e Cristina con “parole”, segni e gesti di accoglienza e di assenso gioioso.

Ancora un altro anno e Suor Rita poté emettere i suoi voti religiosi temporanei. La cerimonia ebbe luogo nel mattino del 28 aprile 1943, alle ore 09.00. La cerimonia fu presieduta dal Vicario ad Moniales Don Eligio Giuntini.

La professione solenne fu celebrata il 23 maggio 1946. Essa fu officiata dal Vescovo di San Miniato, Monsignor Ugo Giubbi, che certamente aveva intravisto qualcosa di straordinario in quella creatura. Anche se malato (morirà infatti pochi mesi dopo), volle venire lui a fare la Professione. Le monache del tempo testimoniarono che la cerimonia ebbe qualche cosa di particolare. Il discorso del Vescovo raggiunse un tono elevatissimo.


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Come Bambina fra le braccia del Padre

Non ragionare mai sull’obbedienza, mai. Gesù da noi vuole solo atti di obbedienza.

Tutto è buono, tutto è utile per la nostra vita con Gesù. Fare la volontà di Gesù. In tutto volere quello che lui solo vuole!

T

 

erminato il suo mandato di Badessa, Suor Eleonora Pieroni fu sostituita prima da Suor Eletta Mancini e successivamente da Suor Matilde Gazzarrini, di cui fece funzione di segretaria per i rapporti con l’esterno. E proprio lei, che era stata la prima a non comprendere la immensa ricchezza spirituale e carismatica di Suor Rita, dirà parole stupefacenti in venti lettere inviate al Monastero Agostiniano di Radicondoli (SI)

Quando fu compresa la sua “sapienza” nella guida delle anime, Suor Rita fu anche incaricata ad “accompagnare” le nuove probande. Il suo animo pieno di Gesù Crocifisso e di Maria Immacolata e Addolorata, la Mamma Bella, contagiava e affascinava le sue consorelle. Verso di esse non mostrò mai mezze misure ma linearità e severità. Indicava loro, senza inutili perifrasi, quale era il modo migliore e sicuro per unirsi pienamente a Gesù, sposo di tutte le anime.

Un giorno fu offerto un piccolo rinfresco in noviziato, prendendovi parte, oltre alla Madre Maestra, la Badessa e suor Rita. La felicità delle novizie fu immensa, perché, come avvenne, si aspettavano qualche speciale lezione dalla “Bambina”. Così era chiamata suor Rita in quel tempo.

Rivolgendosi ad una novizia, che aveva visto mangiare i biscotti migliori e più saporiti, disse:

«Prenda questo (essendo uno dei peggiori) perché quando si ha appetito ci si deve rifare dal meno gradito. Così satollate, quando arriviamo al buono non lo gustiamo più».

Un’altra volta, mentre suor Rita stava lavorando esclamò: «Come vorrei essere una spiga di grano! -. - Perché?» - le domandò una probanda [Angela Remorini]. - E lei: «Non lo indovinate?… Perché prima si sega, poi si batte, poi si macina per fare la farina. E questa a che serve?».

Era presente suor Maria Grazia che rispose: «La farina serve per fare le OstieHo capito! Lei vorrebbe essere Ostia!». «Oh Si! Sì», Ribadì suor Rita. La sua bramosia era di essere schiacciata e macinata, per essere maggiormente conformata a Cristo il quale, maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. (Is. 53, 7)

Eletta suor Maria Matilde Gazzarrini a Badessa del Monastero iniziò un periodo nuovo per suor Rita. Già un anno prima della sua elezione, suor Matilde favorì la conoscenza del suo Direttore Spirituale Padre Teofilo dal Pozzo, ofmc, con la consorella.

Il Cappuccino era un “maestro” di direzione di anime, per cui riuscì a creare da subito una atmosfera di piena fiducia con suor Rita. Per guidare quell’anima così particolare era necessario uno spirito molto aperto al soprannaturale e, nel contempo, molto pratico e prudente nel trattare con l’Ufficialità. Si rischiava, diversamente, di rovinare tutto e di produrre ancora più lacerazioni e contraddizioni di quelle che furono naturalmente prodotte. E Padre Teofilo si mostrò all’altezza del compito, iniziando, tuttavia, il suo mandato col procurarsi riscontri alle sue scoperte.

Assicuratosi sulla serietà e sulla “finezza spirituale” di suor Rita, Padre Teofilo permise quasi subito che, con molta discrezione e con molta prudenza, si instaurassero rapporti con persone esterne affidabili e sinceramente animate da spirito religioso. Tra le prime ad usufruire di questa “grazia” furono le consorelle del Monastero di Radicondoli, dove Suor Rita era passata velocemente nel 1941.

Ed è proprio nella prima lettera del carteggio su accennato che viene definita, a grandi linee, la ricchezza spirituale di Suor Rita. Suor Eleonora così registra: E’ Gesù stesso (che dice) “E’ una via nuova: arrivare alla più eccelsa grandezza mediante la più grande semplicità. Perché hai conosciuto il tuo nulla. Sei la mammoletta nascosta, ma poi tutti ti conosceranno (qui lei protesta, ché non vorrebbe neppure dopo); tutte le Anime, in qualunque stato, avranno un campione da imitare e sarà gloria di tutto l’Ordine”.

Nel 1962 la curia di San Miniato, che aveva sempre apprezzato la Direzione di Padre Teofilo e le conseguenti timide aperture della Madre Badessa Suor Maria Matilde Gazzarrini, improvvisamente sembrò assumere un atteggiamento di assoluta chiusura con l’esterno e di rigido e severo controllo sulla monaca. L’Ordine Agostiniano, al corrente del caso, sollecitato da alcune frange dell’ordine, da alcune monache di Santa Croce e da alcuni Parroci del luogo, decise di controllare più da vicino il caso, determinando la sostituzione del Cappuccino con un Agostiniano: Padre Luigi Marban de Santamarta.

Le prime scelte di quest’ultimo si orientarono nel senso di una maggiore prudenza e chiusura verso l’esterno. Tale restrizione, se da una parte rese felice Suor Rita in virtù del suo carattere riservato, d’altra parte era il segnale d’allarme di una situazione di notevole scetticismo nei suoi riguardi. Di contro Padre Luigi ordinò alla sua diretta di continuare a scrivere le sue esperienze spirituali

L’allontanamento di Padre Teofilo fu, comunque, drastico e frettoloso, quasi un licenziamento in tronco. La sofferenza per tale stato di cose non durò a lungo in quanto quel Gesù, che dialogava con lui tramite Suor Rita, lo chiamò a sé dopo qualche mese. Era il 30 settembre 1962.

Eletta anche nel 1962, Madre Matilde Gazzarrini fu Abbadessa del Monastero di Santa Cristiana fino al 1965. Le nuove disposizioni di maggiore severità adottate dalla Curia o, per meglio dire, l’atteggiamento di scetticismo e supponenza assunto, la intimoriranno fortemente. Si adeguerà talmente al nuovo corso che il suo animo mostrerà nel tempo un distacco notevole dalla consorella che, proprio lei, aveva tanto ammirato e consigliato a numerosissimi fedeli.

A succederle nella carica di Abbadessa fu la Rev. da Suor Michelina Bernardi. Questa, nata a Bologna nel 1919, era entrata al Monastero di Santa Cristiana nel 1952. Il suo mandato fu attraversato da molteplici tempeste, ma seppe destreggiarsi molto bene raggiungendo, a volte, l’eroica difesa di Suor Rita. Tra l’altro si trovò a gestire anche decisioni nuove e delicate, nonché controllare e indirizzare su nuovi sentieri scelte fatte in precedenza.

Dal 1984 fino al 1992, anno del beato transito di Suor Rita, fu Madre Abbadessa del monastero la Reverenda Suor Rosaria Sturlini.

Furono anni contrassegnati da un marcato rigidismo nei confronti di suor Rita. Le concessioni di dialoghi alle grate con devoti e benefattori del monastero furono tutte ritirate o, quanto meno, limitate solamente a quei casi che non potevano essere negati. In pratica, e senza nessuna spiegazione apparente, Suor Rita fu obbligata a ritirarsi in una stretta clausura. La corrispondenza, per alcuni anni, fu negata,

Anche in tale circostanza suor Rita obbedì in modo assoluto e senza discussioni.

Negli anni precedenti suor Rita aveva avuto l’obbedienza di tenere contatti con benefattori e visitatori esterni autorizzati, e lei li ebbe. Ora aveva l’ubbidienza al silenzio e lei ubbidì, senza obiezioni. Come Gesù fu obbediente fino alla fine, continuando a credere, sperare e amare nel completo dono di sé.


3

L’ingresso nella “Patria Beata”

Lo dica forte alla cara Mamma Bella: morire ma non peccati!

Non pensare che ad amare Gesù. Lasci stare tutto il resto!

S

 

uor Rita è volata al cielo il 26 novembre 1992. La riservatezza, che aveva sempre contrassegnato il comportamento del monastero nei riguardi della suora, fu accentuata, ancora di più in questa occasione. Poche notizie trapelarono in merito al modo e alle cause del decesso. Tutte, comunque, si sono rivelate in linea con lo stile di vita di Suor Rita: sola e nascosta a tutti, fino all’ultimo istante. Nessuno avrebbe assistito al suo ultimo attimo di vita. è rimasto, anch’esso, nascosto ad occhi umani, per rifulgere unicamente agli Occhi dell’Altissimo.

Le ultime persone esterne con le quali aveva parlato erano stati i suoi familiari. Era a telefono con un nipote quando, assalita da brividi di freddo, fu trasportata nella sua celletta. Era il 24 ottobre.

In un primo momento fu curata con antibiotici, in quanto molte monache, in quel periodo, erano state colpite da influenza e curate in tale modo. I medici che la visitarono, non riuscirono a capire nulla del suo male. Non seppero dare alcuna spiegazione a ciò che si manifestava nella suora. Le analisi, a cui fu sottoposta, pur evidenziando dei valori anomali, non chiarirono il quadro della situazione. Altre volte era stata colpita da mali preoccupanti e inspiegabili ma sempre si era ripresa, anche se lentamente. Questa volta, al contrario, non dava cenni di miglioramenti.

In questo clima di incertezze trascorsero trentatre giorni dall’inizio di quel malore che l’aveva colpita. Si giunse, così, all’ultima settimana di novembre. Era il giovedì dell’ultima settimana dell’anno liturgico. La sequenza era dell’anno C, ultimo dei tre cicli liturgici: il giovedì conclusivo del ciclo triennale. Non poteva essere giornata più significativa in quanto richiamava la memoria eucaristica e sacerdotale. Suor Rita, ad imitazione di Gesù, si era fatta “pane” per tutti, senza mai guardare da chi e come era “mangiata”. L’ “Ora santa”, che lei concretamente celebrava ogni notte, ripercorrendo tutte le fasi del “mistero passiologico” di Gesù, ora si compiva definitivamente nella sua persona. Erano trascorsi cinquantasette anni dal momento in cui Gesù le aveva impresso i “suoi segni”.

Erano, poi, cinquantasette anni che lei non prendeva cibo, se non per rimetterlo appena da sola. Per tirarla un po’ su, credendo di far bene, le fecero bere qualcosa, forse un caffè. Il suo fisico, ormai totalmente consumato nel dono di sé, non sopportò neppure quel po’ di refrigerio. Suor Rita rimise la bevanda sporcando lenzuola e quant’altro.

Tentò di alzarsi, ma era particolarmente debilitata. Non riuscì a stare in piedi e cadde ginocchioni a lato del lettino, con le braccia distese in croce sul materasso. E così fu trovata.

Erano, all’incirca, le 15.00 del 26 novembre.

Subito furono avvertite le madri e tutte le consorelle. Si provvide a ricomporla e si dette inizio a tutte le incombenze del caso.

La salma fu composta nel Coro della Chiesa di Santa Cristiana, che non fu aperta subito al pubblico. Solamente il giorno dopo, 27 novembre, si permise ai fedeli di Santa Croce di recitare una preghiera sulla salma.

Nel primo pomeriggio di sabato 28 novembre si dette inizio alla Celebrazione Eucaristica. Fu presieduta dal Preposto del paese e concelebrata da altri 5 sacerdoti, tra i quali un rappresentante dell’Ordine agostiniano. L’omelia ebbe come tema di riflessione il chicco di grano che dà molto frutto quando è sepolto nella terra e muore.

Finita la celebrazione Eucaristica, furono abbassate le tendine del coro e un Sacerdote vi entrò per gli ultimi adempimenti. Dopo circa mezz’ora fu aperta la porta del parlatorio da dove uscì la bara per l’ultimo viaggio. Molte persone si accalcarono per sfiorarla e i parenti furono invitati a salire nelle macchine per accompagnarla verso il Cimitero di Sovigliana Spicchio (FI) per tumularla nella Cappella privata dei coniugi Ceccarelli Trinci.

Questa sistemazione doveva essere provvisoria in attesa della traslazione solenne prevista di lì a pochi mesi. Invece la salma rimase sino al 1 Marzo 2002 quando, con una traslazione privilegiata, fu trasportata nella Chiesa del monastero di Santa Cristiana, e deposta in una cappellina dietro l’altare.


4

“Appendice”

Suor Rita – Donna fatta preghiera.

L’umiltà è la pace di ogni anima che vuol essere di Gesù. Lo scoraggiamento è superbia. Sempre fiducia in Gesù

P

 

regate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie, questa è, infatti, la volontà di Dio in Cristo Gesù, verso di voi. (1 Ts. 17.18 – CCC 2757).

La vita di suor Rita è stata una preghiera continua, incessante, non solamente una preghiera vocale o una preghiera mentale, bensì una preghiera del cuore nella sua forma più perfetta: “la contemplazione del Mistero di Dio”: in una parola, la sua fu preghiera unitiva. Essa fu, essenzialmente, senza parole e senza pensieri. Lei li ridusse nel silenzio e lasciò che il “Mistero di Dio”, Cristo Gesù, occupasse tutto lo spazio della sua anima.

Da bambina, da quando i primi segni del divino si mostrarono alla sua innocenza, educò tutta se stessa a seguire unicamente la Voce dello Spirito che la guidava a rinunciare alla sua volontà per rivestirsi unicamente della volontà divina. Questa resurrezione per una vita perfetta nello Spirito ebbe i suoi momenti e le sue tappe che, all’esterno, rimasero totalmente secretati dalla sua estrema riservatezza.

Già nei suoi anni più teneri amava isolarsi in luoghi appartati e lontani da occhi indiscreti. Nella solitudine e nel nascondimento poi, si inginocchiava e si poneva all’ “Ascolto” della Voce del suo unico Maestro che la educava unicamente ad amare e a vivere di rinunce, penitenze e immolazione. La sua preghiera fu pertanto “Amore perfetto fino alla totale consumazione”.

Gesù, insieme a Maria, le mostrò da subito quale era stata la “fecondità” del suo amore che aveva generato saporosi “frutti” di vita nuova. Ai suoi occhi, ancora puri e innocenti, rivelò tutta la bellezza del “Sacrificio della Croce” che aveva prodotto il nuovo “popolo dei Salvati”. In tal modo Gesù, senza costrizioni, l’attirava su quella “sponda” per renderla pienamente “com partecipe” della Sua missione di salvezza. Così, dal “piccolo cuore” di Cristina, nacquero desideri che divennero atti concreti di vita. Pensò e realizzò quanto scrisse ad un suo “fratello spirituale”: “Lavorare, soffrire per le anime: è quello che ho cercato di fare fin dai miei primi anni d’infanzia. Il desiderio di salvare anime si è fatto sempre più forte … non vi è altro da fare quaggiù che amare Gesù, soffrire per le anime perché Gesù sia amato!”.

In tal modo rese visibile e concreta la sua preghiera. Perché, se essa è “Unione” con il Signore che è “Amore Infinito”, allora, di conseguenza, diviene ricerca della sofferenza per la salvezza integrale dell’uomo. Solamente da questa “preghiera vissuta” nasce il perdono, l’accoglienza, l’attenzione verso tutto e tutti. Il cuore, così, può allargarsi a dismisura per accogliere tutti con tutte le loro necessità.

A volte la persona da accogliere, e sulla quale si deve porre la massima attenzione, ha una altissima missione da compiere. In tal caso quella preghiera deve diventare ancora più coinvolgente e straripante.

Si era negli ultimi mesi del 1954. La Cristianità era in apprensione per la salute del Santo Padre, Pio XII. Veramente si temeva per la sua vita.

Il mondo, da poco uscito dalla II guerra mondiale, che aveva prodotto tanto sangue e tanta ingiustizia, cercava di risollevarsi da quell’incubo. Si cercava di costruire la convivenza civile su nuove basi di solidarietà e di rispetto. I sacrifici da compiere erano immani ma non impossibili se accettati e condivisi da tutti. I pericoli, poi, di una nuova deflagrazione mondiale, con la crisi dell’estremo oriente, erano incombenti.

La Chiesa, nella persona del Santo Padre, era vista come segno di speranza e di sicura rinascita. Le sue parole e le sua azioni, a dispetto di certi stereotipi pensieri anti ecclesiali e anti cristiani, infondevano fiducia in tutti. La sua immagine con le mani alzate verso il cielo a impetrare la Misericordia e la Benevolenza di Dio, sono lì a suggellare quel tempo. La sua “presenza”, pertanto, era importante, per cui si alzarono preghiere al Signore per la sua guarigione.

Suor Rita, presente a tutte le situazioni attraverso la sua “unione ininterrotta” con Dio, non stette a guardare ma fece la sua parte. Rivolgendosi al suo Direttore Spirituale così gli scrisse:

“Babbo, glielo dico sempre a Gesù tutti i giorni: - Non fare da sordo! No la guerra! -  Infine si stancherà di sentirmi e mi dirà di sì, no? In questi giorni offro tutto per il Papa. “Oh, Gesù! Mamma Bella date a me il suo patire”.

Il Signore ascoltò le sue preghiere e accolse la sua offerta, donando la guarigione al Santo Padre.

Già altre volte Gesù aveva affermato che erano tanto meritorie le di lei sofferenze e preghiere. La guarigione del Papa, pertanto, era ulteriore conferma di questa “parola”.

Anche per questo, per gli “effetti che produceva”, Suor Rita non era mai sazia di questa preghiera di offerta. La viveva continuatamente senza cercare mai sollievo e riposo. Non guardava neppure chi, al momento, poteva trovarsi in una posizione completamente diversa o, addirittura, opposta. Lei guardava, come Gesù, ad un futuro di speranza e di stravolgimenti interiori positivi. In una sola parola lei operava per la piena conversione dell’uomo. Tutti considerava “figli” da salvare.

In Italia erano gli anni della pericolosa contrapposizione civile e umana. Comunisti contro tutti gli altri. L’odio che si seminò in quel periodo provocò attentati e atti criminosi. Anche il capo dei comunisti italiani, Palmiro Togliatti, fu colpito da uno dei proiettili dell’odio e della contrapposizione insensata.

La notte successiva all’attentato, suor Rita rimase colle braccia in croce per un’ora a riparare per Togliatti. Chiedeva a Gesù, per sé sola, patimenti, croci, persecuzioni, incomprensioni.

Togliatti guarì e suor Rita fu mezzo di salvezza per lui. La sua espiazione vicaria, contribuì, in tal modo, alla guarigione, ma soprattutto ad un rasserenamento generale del clima politico del tempo.

Lo stare in ginocchio di suor Rita, nell’atto di porsi come espiatrice vicaria attraverso la preghiera di offerta, era sempre preceduto da un “momento preparatorio”. Apriva gli occhi e il cuore verso l’Infinito e si univa alla Madonna, la Mamma Bella, per rafforzarsi nella ricerca della “misericordia”. A lei rivolgeva, con una corona fatta di rinunce alla propria volontà e di adesione completa al suo volere, la preghiera dell’Ave Maria contestualmente ai “Misteri della Salvezza”. La recita del “Santo Rosario”, perché rivolta alla Madre di Dio, che è onnipotente per grazia, era una costante del suo rapporto con il divino. Maria, porta sicura al cuore di Gesù, diveniva in tal modo mediatrice e sicura maestra del Mistero del Figlio.

Attraverso di Lei, suor Rita, comprese ciò che ancora non riusciamo ad accettare. La “Perfezione” di Dio, “Giustizia e Misericordia”, non può manifestarsi mai in modo disgiunto. Sulla Croce, a seguito del pieno abbandono del Figlio alla Sua volontà, il Padre, soddisfacendo il “Lato” della sua Giustizia, apre il Suo Cuore alla Misericordia e al Perdono. Da allora, solamente così può ottenersi “Resurrezione e Vita”.

Questo è l’unico modo per comprendere anche le parole pronunciate dalla “Mamma Bella” nei confronti di suor Rita:

“Nessuno capisce nulla! Oh Rita lascia che il Mio Figlio sfoghi su di te la Sua Giustizia!”.

In ginocchio suor Rita aveva chiesto ed ottenuto di rivivere quel mistero, comprensibile unicamente ai cuori semplici e puri.

Una notte, stando in tale atteggiamento, suor Rita fu inviata ad assistere, in bilocazione, un moribondo. Così viene raccontato l’evento in una lettera:

[Suor Rita] Era lì e parlava forte: “Non vuol saperne di nulla; ha mandato via il sacerdote; manda via le Suore; non gli si può dire una parola buona. Guarda? Volta il capo dall’altra parte. Ma aspetta, aspetta … Ora prendo il mio Crocifisso e vedrai! …”. Infatti si alza a sedere sul letto, cerca sotto il guanciale e ne tira fuori il suo Crocifisso. Lo posa da una parte e colle mani fa l’atto di prendere … cosa? Con somma delicatezza. Prende la testa del moribondo: si vede per volgerla verso di sé. Poi torna a prendere il Crocifisso e piano, piano glielo avvicina: con sommo studio fa di tenerlo dalla parte ove si bacia. Finalmente è arrivato alle labbra perché lei tutta soddisfatta dice: “Ecco”. Si vede che ha vinto. Comincia quindi a compassionare l’agonizzante. “Poverino! Quanto soffre! Gesù, prendilo. Non ne può proprio più. – Oh bene! Grazie Gesù”. (Il moribondo è spirato). Passano alcuni minuti. Poi essa ricomincia a parlare. “Ringrazi me? No, non devi ringraziare me: è il Crocifisso”. (Ha capito, Madre? Quell’anima subito giudicata e salva era venuta a ringraziarla e lei umilmente si schermiva).

La Preghiera senza la Croce non può ottenere nulla. E suor Rita, ogni notte pregava rivivendo, nella concretezza, quella Via. Volle, come “vero coniuge”, caricarsi dello stesso giogo dello “Sposo”. Nella realtà e nel “segno”, si caricava di quellla “croce, procedendo secondo l’itinerario già vissuto da Gesù. Infatti,

Alla Stazione “Gesù caricato della Croce” essa si trattenne circa un’ora; inginocchiata gemeva, ansava, lacrimava e muoveva le mani con gesti espressivi, come a prendere la Sacra Testa di Lui fra le sue mani. A un tratto grida: “A me queste spine; a me queste spine!” E la Madre vede proprio l’atto che essa fa in levare ad una ad una quelle acute punte, e vede che, via, via che le leva, fa l’atto di ficcarle nella sua fronte. Anzi (che meraviglia!) sente lo scricchiolio di quell’arbusto quando nel piegarlo qualche volta si rompe … e la Via Crucis continua facendo piangere chissà quanto la Madre Badessa spettatrice.

Maria e Gesù, la Madre con il Figlio in assoluta unità di pensiero e di volontà. Insieme presentano al cuore di suor Rita le vicende imminenti e ne sollecitano la sua offerta per cambiarle o per mitigarne gli effetti.

Una notte, prima del solito, Gesù e Maria si fanno presenti alla sua anima. Loro parlano fra Loro di castighi, anzi di castigo. Rita intende e si mette subito a chiedere Misericordia, mentre la Madonna supplica anche Lei; ma Gesù non si piega. Le due supplicanti non sanno più che fare. Poi la Madonna dice: “Bambina, prendi il Braccio di mio Figlio”. Essa subito obbedisce. Allora Gesù si volta dolcemente e sorridendo le dice: “Sei una gran furba!”. In quell’ora battè il terremoto che fu sentito. Fu disastroso a Livorno anche per il maremoto, ma fu castigo limitato, limitatissimo. Quello che invece doveva venire era gravissimo.

Il giorno successivo le fu chiesto spiegazioni dalla Badessa. Alla domanda se potevano proseguire scosse lei non rispose direttamente alla domanda. Si limitò a dire che “ambedue (Gesù e Maria) si sentono tanto tristi perchè soffrono a castigare, mentre godono a usare misericordia!

Per costringerli ad usare misericordia e renderli felici occorre allontanarsi dal peccato, tenersi sempre stretti alla Croce, supplicando con una preghiera di umiltà e di offerta.



A cura del

“Comitato suor Rita Montella”


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